DA OSSERVATORIO - NOVEMBRE 1994
Pietro Dell'Anno in carica nel 1967
I ritratti dei sindaci di Fasano a cura di Secondo Adamo Nardelli pubblicati su Osservatorio e successivamente nel libro "Medaglioni fasanesi"
Pietro Dell'Anno
FASANO - Era l'epoca nella quale sulle leggi che regolavano la vita degli enti spadroneggiava la volontà della Dc, verso la quale i prefetti, tutori della legittimità degli atti amministrativi, erano proni, per la semplice ragione che a nominarli e a rimuoverli provvedeva lo stesso partito, che occupò in permanenza, con la sola eccezione del breve periodo post-Liberazione (quando vi fu la gestione dell'on. Giuseppe Romita, socialista), il Ministero degli Affari Interni. A regolare l'azione dei capi della provincia provvedevano i responsabili democristiani. A Brindisi imperversò l'on. Italo Giulio Caiati. Gli fu tenace avversario il socialista on. Mario Marino Guadalupi. Anche le trattative tra i partiti per la formazione dei governi locali si svolgevano nei capoluoghi. La “delimitazione della maggioranza” significava l'esclusione dei comunisti; i missini, invece, erano considerati “fuori dall'arco costituzionale”.
Nel capoluogo l'on. Caiati stava conducendo una delle operazioni più stupefacenti per portare a galla il suo candidato preferito, battuto alle elezioni e classificatosi al settimo posto dopo gli eletti. Operazione che gli riuscì facendo dimettere l'ultimo degli eletti della lista e successivamente gli altri sei che precedevano il dott. Francesco Arina, il quale, da battuto e “frustato” elettoralmente, assurse alla carica di sindaco di Brindisi. Fu un bell'esempio di prepotenza, prevaricazione e violenza sulle regole della democrazia. A Fasano la Democrazia Cristiana, nell'elezione della primavera del 1967, conseguì il 40% dei consiglieri, e cioè 12 su 30, confermandosi forza di maggioranza relativa. A ritardare la soluzione politico-amministrativa nel nostro Comune non furono soltanto i maneggi provinciali, ma anche il malessere che albergava all'interno dello Scudo Crociato, che, pur avendo molti aspiranti sindaci tra gli eletti, aveva affrontato la competizione elettorale senza capolista. A risultare prima degli eletti fu la signora Anna Melpignano in Valentini, con oltre 1.500 voti di preferenza. Questo fu il segno visibile del potere inalterato delle famiglie che contano.
La seduta di convalida degli eletti si tenne il 26 settembre di quell'anno. Fu vivacissima, riguardando la verifica delle condizioni di eleggibilità di molti “pezzi da novanta”, come la stessa prof.ssa Anna Melpignano, il dott. Francesco Di Bari, il dott. Giovanni Matteo Colucci, il dott. Angelo Petrella, Bernardino Turchiarulo e Saverio Lacirignola. Tutti passarono indenni dalla votazione, meno il dott. Colucci, per effetto della lite pendente tra il Commissariato degli usi civici di Bari e la sua famiglia, nella quale era intervenuto il Comune che rivendicava il diritto di reintegrazione nel possesso dei terreni demaniali presuntivamente usurpati da privati. Non ebbe effetto l'appassionata e documentata difesa del dott. Colucci, tesa a dimostrare l'inesistenza delle condizioni di ineleggibilità: 23 consiglieri su 23 votanti ne decretarono la decadenza, spalancando la porta del consiglio comunale al dott. Giacomo Semeraro, la stessa porta che don Matteo aveva in precedenza sbattuto quando, indignato dai vari interventi, aveva abbandonato l'aula.
Le trattative in corso tra Dc e Psi non consentirono l'elezione degli organi comunali nella seduta del 3 ottobre successivo, che andò tecnicamente deserta. Nella riunione seguente, quella del 10 ottobre, i gruppi presenti in aula erano irritati dall'assenza di quello democristiano, riunito nella sede di partito per sciogliere i nodi interni, cioè il nome del sindaco che avrebbe guidato una giunta di centro-sinistra. A tale soluzione, quella sera, stavano lavorando anche – presso lo studio di via Murri dell'avv. Di Bari, assente per un impegno professionale su Milano – le due delegazioni: quella democristiana, composta dall'avv. Orazio Ferrara e da Adamo Nardelli senior, e quella socialista, composta da Antonio Guarini, Raffaele Bianco, Donato Di Carolo e Mimì Mileto. Il gruppo democristiano attendeva gli eventi nella sede di via Dante Alighieri. Fungevano da staffette tra il Palazzo di Città, via Murri e via Dante, Carluccio Angelini per la Dc, e per il Psu Donato Di Carolo. Quest'ultimo, a un certo punto della riunione delle delegazioni, tornò trafelato dal Comune e comunicò con gesti a Mimì Mileto che nell'aula delle adunanze consiliari erano presenti i consiglieri sufficienti a deliberare sull'elezione del sindaco. Mileto si portò rapidamente in municipio, dove tutti i consiglieri presenti in aula, accomunati dal rancore verso la Dc, irriguardosa e prepotente, raggiunsero una rapida intesa e procedettero alla elezione del sindaco nella persona dell'avvocato Pietro Dell'Anno, che fu destinatario di 15 voti favorevoli e due astensioni su 17 presenti.
Successivamente, avvertiti da Carluccio Angelini, raggiunsero l'aula tutti i democristiani, ma ormai la frittata era fatta. Sul giovane esponente socialista si concentrarono anche i voti della destra storica e tradizionale, che raccoglieva sotto il simbolo del Faro i liberali, i missini e i monarchici. Non si conoscono gli astenuti. Camillo Ancona, del Msi, successivamente dichiarò che un voto di astensione era il suo. Il neo-sindaco, dopo aver ringraziato a titolo personale coloro che lo avevano eletto, manifestò il proposito di respingere i consensi ulteriormente ricevuti dalla destra, in quanto incompatibili con la sua posizione politica. Tuttavia accettò con riserva, proponendo che l'elezione della giunta fosse rinviata ad altra seduta. Decisamente contrari al rinvio si dichiararono i comunisti, i psiuppini e i componenti della lista del Faro. Dell'Anno minacciò allora, senza però attuare il proposito, di sciogliere la riserva in senso negativo, se non fosse passata la sua proposta di rinvio, che venne respinta incassando solo 4 voti a favore. Nella stessa seduta si elessero in prima battuta i componenti effettivi della giunta nelle persone di Francesco Di Bari, Domenico Mileto, Cosimo Anglani e Antonio Masella, mentre per quelli supplenti furono necessarie due votazioni che portarono all'elezione di Saverio Lacirignola e Alessandro Suma, uno comunista, l'altro psiuppino. Questi, a conclusione di seduta, dichiarò: «Stasera abbiamo dimostrato che il potere non è più esclusiva della Dc». Che illusione! Infatti la giunta Dell'Anno ebbe brevissima vita: dal 10 ottobre al 15 dicembre 1967, giorno nel quale si procedette alla votazione per il nuovo sindaco e la giunta. Durò quindi 66 giorni, cioè “nove settimane e mezzo”, che però non furono proficue di godimenti come nel film omonimo, ma andarono in bianco perché il neo-sindaco non potè stendere nemmeno un dito sul potere.
Successivamente risultò eletto, a parità di voti con Dell'Anno, per anzianità, Sandrino Rubino. Le vicende che seguirono, fino allo scioglimento del consiglio e alla nomina del commissario prefettizio, costituiscono storia a parte, specie in relazione agli atteggiamenti del consigliere socialista Cosimo Anglani e alle vicende interne alla Dc, dove il conflitto tra caiatini e avversari di costoro si caratterizzò come lotta tra i sostenitori dei Melpignano (fasanesi) e quelli di Rubino (pezzaioli). Non è possibile quindi formulare alcun giudizio sulla gestione amministrativa, in quanto il brevissimo tempo nel quale Pierino Dell'Anno rivestì la carica di sindaco si consumò tra negoziati politici e colpi di scena dovuti alle massicce manovre esterne, dirette – come si suol dire – a mettere le mani sulla città. Non è facile tracciare il profilo del personaggio. Di temperamento poliedrico e di vasta cultura giuridica e umanistica, difficilmente si ferma su una tesi, anche se a tracciarla è lui stesso. Non si sa se per il suo “codice psicologico”, che gli vieta la “sosta delle idee”, o per l'angoscioso travaglio che lo assale alla ricerca di una verità impossibile. Infatti i suoi amici intimi, a cagione delle sue antitesi, lo hanno soprannominato “alto-antitesino”.
Legge di preferenza, in lingua madre, gli autori francesi: Baudelaire, forse per i Fleurs du mal; Maupassant, per Mademoiselle Fifì; Proust, per la Ricerca del tempo perduto. Si abbevera con la regolarità del breviario alle Passeggiate del pensatore solitario di Jean-Jacques Rousseau; infatti, quando è immerso nei suoi pensieri, attraversa le vie della città costeggiando i muri degli edifici ed eludendo saluti e incontri con conoscenti e amici. Quando la sua mente invece non ha tormenti culturali, “spacca” le strade e non disdegna di sostare con essi. Di bell'aspetto, le donne ne sono sempre state attratte, mosse ambiguamente da sentimenti materni e trasporti carnali. Anche oggi, che ha varcato la soglia dei cinquant'anni, pur essendo uno scapolo di seconda mano (ben conservato), molte donne fanno a gara per accasarlo. Ma lui, spirito di giacobino rivoluzionario, non si arrende. Storico l'assalto, di cui fu alla testa, portato dai proletari alla Casina Municipale, che i “vili” borghesi avevano recintato per impedire agli indigenti la vista dall'esterno degli artisti che si alternavano all'aperto durante la stagione silvana. È distratto come un genio. Dice e si contraddice. È d'accordo, ma ha sempre una riserva che fa saltare l'accordo. È quello che si dice un “bastian contrario”. In una cosa è costante: nel dare la sua assistenza, anche da avvocato, alla povera gente, rimettendoci, spesso, pure le spese. Non gli fa certamente difetto la generosità.
di Redazione
02/05/2012 alle 02:06:25
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